Domani è il mercoledì delle ceneri, che è anche il primo giorno di Quaresima, e la tradizione veneta vuole che a tavola venga servita la renga… con l’arrivo della renga si saluta così il Carnevale e si va verso la Pasqua.
Ma cos’è la renga?
L’aringa è un pesce che vive nelle acque fredde dell’Atlantico settentrionale e dell’Oceano Artico. Quello che si predilige è l’esemplare femmina, mentre il maschio, lo scopeton, è considerato meno pregiato e ricercato. L’aringa ci arriva dai Mari del Nord, quindi, passando da Venezia, prendendo il nome in dialetto “renga”. La storia raccontata dai nostri avi dice che fino alla fine dell’800, quando il fiume Adige era ancora navigabile, la piccola località di Parona era un importante scalo fluviale dove risiedevano attività commerciali e una dozzina di osterie. Siccome la navigazione in città era vietata nei fine settimana, i marinai-commercianti, che conducevano le imbarcazioni e le chiatte di legname che discendevano l’Adige, attraccavano e sostavano nel porticciolo di Parona. Si ristoravano nelle locande e spesso il pagamento alle “parone” delle osterie avveniva offrendo in cambio mercé dal loro carico, tra qui i barili di aringhe affumicate sotto sale. Fu così che le parone impararono a cucinare la renga e quindi a proporre a tavola questo pesce proveniente dai lontani mari del nord Europa unito ai sapori tipici della cucina veneta come la polenta.
La conservazione era fatta sotto sale o essiccata. La sua preparazione nel sale doveva avvenire entro poche ore dalla cattura e quindi praticamente in mare. Poi la “renga” scendeva in barili verso sud e aveva come principale centro commerciale del mediterraneo la città di Venezia.
Questo pesce semplice si adattò subito agli usi e costumi delle tavole contadine venete, soprattutto in tempo di Quaresima: era un cibo povero, ma nutriente e facile da conservare.
Rappresentava una fonte di cibo proteico in tempi di grande povertà.
Diventò emblema della povertà veneta. Come non ricordare la scena de “L’albero degli zoccoli” di Ermanno Olmi, in cui la famiglia sfrega, nel buio della cucina, la polenta sull’ aringa appesa in mezzo al tavolo, un ricordo che ha perso ogni tragicità ed è diventato simbolico e nostalgico: un solo pezzettino insaporiva tocci e tocci di polenta.
E quindi oggi che aringa sia! Forte nel sapore e nell’odore, ma stuzzicante e abilmente cucinata con l’olio buono, oltre che rigorosamente accompagnata dalla polenta.