“Avevo dieci, dodici anni e quel gigante grande e biondo che era mio zio – simile, nella mia immaginazione, ai vichinghi di cui avevo letto nei libri di scuola – mi scortò per la prima volta insieme ai suoi figli nel seminterrato, ad assisterlo mentre faceva l’olio. La luce era fioca, illuminava appena un cono tremolante intorno al quale noi assistevamo senza fiatare, come fossimo stati in teatro, alla spremitura. Simili ai Carbonari, tacevamo trattenendo il fiato: il Gigante ci aveva avvertito che l’olio era molto suscettibile e l’operazione più delicata di un’alchimia. Venne il momento in cui con cautela lo zio principiò a far colare nelle bottiglie quella sostanza ancora misteriosa, simile a un metallo liquido, talmente spesso che la luce lo venava di riflessi ma non ci passava attraverso. Osai chiedere sottovoce : “Ma perché non le riempi interamente ?”. ” Per via della Luna !”, rispose il gigante. “L’olio è come la marea, quando la luna è piena sale, sale, sale, e trabocca”.
Da allora, nella mia immaginazione, nelle notti di luna piena l’olio ribolle nelle cantine oscure come ribolle il mare nelle fosse oceaniche ed il sangue nel ventre della donna. Da lassù, in mezzo al cielo, ci chiama quella forza argentea con tale insistenza che è difficile resisterle e non rompere la amarre per slanciarsi sulla sua scia…”
François Ernest ( 1923-1968), La voie de la lune (trad. it. di Fulvia Alberti)