Accanto alla simbologia dei cibi di magro, vi è quell’altra in Veneto, un po’ meno emblematica, del pan conzà e del soffice nadalin, preparati essenzialmente con fior di farina, uova e zucchero, a forma di stella a cinque punte molto smussate e quindi intinti, pocè, nel bicchiere di vino, non per forza dolce.
Sostituiti ad oggi dal più famoso e diffuso pandoro, il pan conzà e il nadalin si riallacciano alla tradizione del panettone, del panforte, della spongata di altre regioni d’Italia ma anche all’augurale focaccia inglese Christmas-batch, allo Stolen tedesco e al pain de Calandre francese, ugualmente rituali e significativi. L’utilizzo di un pane votivo durante le festività del solstizio invernale (sostituito poi, con il Cristianesimo, dalle festività natalizie) è attestato già presso le popolazioni celtiche cui dobbiamo l’utilizzo, in chiave benaugurate, di altri simboli “natalizi” quali l’abete, il vischio e l’agrifoglio. Era un pane impastato con farina, frutta secca e miele, da regalare e consumare come segno di una nuova stagione di abbondanza e ricchezza.
Questi pani dolci erano soliti essere preparati in famiglia, collettivamente, e consumati al rientro dalla messa di mezzanotte secondo un rituale che affidava al membro più anziano l’onore del taglio e che destinava una fetta al primo povero che avesse bussato alla porta.