Quando si staccano le olive a mano, ad una ad una, si depongono poi in un cestino, una sorta di recipiente rotondo, di media grandezza, fatto di stecche di legno o di vimini (un tempo si usava la pele seca; a Torri lo chiamavano il gremal), che tengono attaccato di lato o dietro, con una cintura di cuoio. Così Giuseppe Solitro scriveva nel 1897 e più o meno l’attrezzatura ai giorni nostri è rimasta la stessa, salvo che il materiale del corbello è cambiato. Ieri come oggi.
Gli strumenti si sono evoluti. Ma la saggezza e la cura che l’olivicoltore porta con sé contiene sempre quel sapore antico e quella preparazione all’attesa, alla pazienza. Pazienza nella raccolta, pazienza nella coltivazione.
L’olivo per certo “non vuole per crescere che aria, che sole, che tempo” scrive sapientemente Giovanni Pascoli, ma ha le sue esigenze per crescere bene, il terreno, lo spazio, il clima, il rispetto del frutto.
Dice un antico proverbio contadino: “chi vuol tutte le olive non ha tutto l’olio”.